Ogni pubblicità in questi giorni sembra essere una native advertising; tuttavia, sono pochi gli spot che realmente ne incontrano i criteri, infatti il termine è diventato talmente popolare che viene ormai riferito ad un ampio raggio di pubblicità che però non corrispondono effettivamente alla native advertising.
Il problema
Le native advertising rappresentano uno dei formati più efficaci e di rapida crescita nelle pubblicità digitali: molti marketer aspirano a trarne più vantaggi possibili ma i risultati sono visibili solo dopo aver capito il reale significato che si cela dietro “native advertising”. Il problema in questo approccio è che, creare una società intorno ad un neologismo, crea confusione sia per gli acquirenti che per i pubblicitari.
Iniziamo col mettere in chiaro cosa non è una native advertising, ovvero, una nuova incarnazione di pubblicità integrata dove un brand message viene tessuto in un brand content; non si tratta di un content marketing come un articolo o un video che spiega come utilizzare un prodotto o un servizio e non sono neanche una generica forma di contenuto per gli smartphone.
Allora cos’è?
L’Interactive Advertising Bureau (IAB) ha tentato di dare una definizione al native advertising, tuttavia i sei diversi tipi che elenca nella “guida sulle native advertising”, dai widget consigliati alle promoted list, creano un po’ di confusione. A ogni modo, quest’ultime rafforzano l’esperienza del lettore o del visitatore, coinvolgendolo e creando un vero e proprio engagement.
Basti pensare alle riviste di moda in cui le pubblicità sono meravigliosamente piene di colori e parte dell’esperienza del lettore: i consumatori acquistano questo tipo di riviste per le immagini che contengono e, soprattutto, non pensano di essere “presi in ostaggio” da quella pubblicità totalmente immersa nei contenuti delle varie pagine.
Tra l’altro, se un consumatore spende 15 minuti per leggere un articolo a proposito del surf su una rivista online specializzata, ci saranno alte probabilità di mostrare altrove una pubblicità legata al surf. Idealmente, quella pubblicità avrà delle interazioni per ciò che riguarda l’acquisto del prodotto, la raccolta di maggiori informazioni e la sua condivisione con altre persone interessate a quella specifica community.
Questa combinazione di congruenza e azione fanno nascere la native advertising, che incoraggiano i consumatori ad agire sulla pubblicità in modo che sia utile per loro, creando engagement col brand o col prodotto al fine di diventare parte integrante dell’esperienza del lettore.
Come realizzare delle ottime native advertising
I marketer dovrebbero iniziare a creare delle native advertising definendo i dati demografici della propria audience, per poi costruirci intorno rilevanza, contenuto e interazione; ricorda che se i lettori si appassionano a un argomento, vorranno sicuramente avere più informazioni a proposito e l’e-commerce sarà un ottimo mezzo per creare engagement con gli utenti.
La native advertising può includere anche la registrazione alle newsletter o una richiesta per ottenere ulteriori notizie sul prodotto in questione. Idealmente, un brand offre un’interazione rilevante all’utente per ciò che riguarda il tempo che egli passa su quel contenuto.
Quando i pubblicitari mettono i propri prodotti di fronte a coloro che, interessati, hanno dimostrato la volontà di portare a termine un’azione, sia il marketer che l’editore ne beneficiano in quanto l’insieme tra il contenuto e la pubblicità riusciranno a creare maggiore interazione.
Pensa al posto dove inserire la gli annunci pubblicitari, poi al tipo di azione che vuoi che faccia un brand: una pubblicità di Vogue, ad esempio, incrementerebbe l’opportunità di comprare un prodotto di Louis Vuitton, mentre una rivista sui mobili potrebbe fare in modo di richiedere ulteriori informazioni da condividere con un amico o un fidanzato.
Anche se le native advertising vengono in qualche modo targetizzate, possono essere considerate come delle “pubblicità targetizzate più engagement” e possono anche essere connesse alle pagine in cui si trovano.
[…] Un’altra cosa da cercare è ogni tipo di materiale promozionale pubblicizzato nel gruppo perché, dopo tutto, anche tu farai del marketing qui, quindi vorrai sapere in che modo l’hanno fatto gli altri prima di te; nel mio caso ho trovato degli aggiornamenti che sembravano delle promozioni, come se fosse un Native Advertising. […]
Ciao Stefan, seguo spesso quello che scrivi. Da piccolo inserzionista ho iniziato a fare campagne anche native advertising usando revenee.io. Cosa ne pensi al riguardo? Sto ottenendo ottimi risultati. Si sta aprendo la possibilità di auesto nuovo trend anche per ,edi e piccoli player come dicono le prospettive IAB degli ultimi anni in merito?
Bel pezzo, soprattutto contando la confusione intorno al native advertising che spesso sembra regnare. In merito io da poco ho iniziato a usare revenee.io: installi il widget e poi controlli anche gli spazi decidendo quanta pubblicità nativa puoi ospitare, niente male!