Questo articolo affronta una questione interessante per chi ha a che fare col marketing online, pertanto ci auguriamo che sappiate ciò che esso comporta.
Con più di 300 milioni di download, Adblock Plus si afferma come l’estensione più popolare di internet. Come si evince dal suo nome, esso blocca una grande quantità di pubblicità, ma può anche bloccare quelle cose necessarie per poter gestire con successo una campagna di marketing, come i vari rilevamenti e i tasti di condivisione sui social media.
Per i publisher questo vuol dire pagare per delle pubblicità che vengono bloccate.
Anche su Google che mostra la tipica sidebar con gli annunci pubblicitari, Adblock Plus te li fa sparire.
Guardando però con più attenzione il processo di Adblock, possiamo vedere nel codice sorgente che gli annunci pubblicitari in realtà rimangono!
Moltiplicando tutto questo per ogni utente che compie una ricerca tramite le tue keyword e non trova il tuo sito con le pubblicità per cui hai pagato, vedrai scapparti dalle mani un’ingente quantità di denaro.
E non si tratta solo di Google, ma anche di Amazon, HelloBar, Bing e di tutte quelle pubblicità che possono essere bloccate con un semplice click.
Anche le pubblicità di Facebook e Youtube sono vittime di questo assalto ed inoltre, anche le call to action del tuo blog potrebbero diventare un facile bersaglio.
Che vuol dire tutto questo per i business online?
Sfortunatamente, la risposta non è così semplice come si possa pensare. Per molti siti le pubblicità sono fonte di introiti e anche se vengono bloccate (anche perché un utente che le blocca non avrebbe comunque voglia di cliccarci), risorse come bandwidth vengono usate ugualmente (e dovrai anche pagarle).
Alcuni blog, in particolare quei siti di news e tecnologia, sono stati creati con particolari caratteristiche che aggirano questi problemi, tuttavia non esiste un metodo definitivo per “bloccare chi blocca”.
Viene da chiedersi, chi è che quindi sta muovendo i fili?
Definizione delle “Acceptable Ads”
In un’intervista su ComputerWorld all’investitore leader di Adblock, Tim Schumacher (creatore della compagnia Sedo.com), è emerso che Adblock si sta espandendo anche tra le società più grandi (pensate a Twitter e Google) per far rientrare le loro pubblicità nelle “acceptable ads”.
Essenzialmente, l’approccio che Adblock utilizza ha quasi il sapore di un ricatto. Proprio prima che le azioni di Twitter arrivassero al valore di 15 miliardi di dollari, Adblock ha avuto il coraggio di contattarli dichiarando:
“Ci piacerebbe collaborare con voi per progettare pubblicità accettabili e non invasive che siano conformi alle nostre direttive e alle nostre whitelist”
Ti capirei se pensassi che Adblock Plus abbia architettato tutto per mirare a un ragionevole equilibrio tra le pubblicità più influenti, tracciamenti e condivisioni nei social media, ma no, le sue direttive bandiscono tutto ciò che non è testo.
Tuttavia, anche se una pubblicità ha questi criteri, non vuol dire che non venga comunque bloccata. Volete sapere qual è la cosa più ironica di tutta questa storia?
Adblock ha stipulato dei contratti con i publisher di Acceptable Ads, il che vuol dire che determinate società lo stanno pagando per evitare il blocco delle loro pubblicità. Che privilegio!
Attualmente, le loro tariffe vengono ridimensionate in base all’editore, qualcuno paga un compenso forfettario e qualcun altro invece paga una percentuale delle proprie entrate.
Eyeo, la società dietro Adblock, afferma che sta facendo solo ciò che vogliono gli utenti, ovvero, “sia i publisher che proprietari di siti partecipano per propria volontà, si tratta di coloro che sono rimasti soddisfatti dei risultati avuti con una pubblicità non invasiva”.
Stando all’intervista di ComputerWorld, la società ammette di avere soltanto “intrattenuto delle conversazioni” per evitare di aspettare che i partner li contattassero, evidenziando il fatto che “il modo di procedere è secondario al processo in sé”, quindi il fine giustificherebbe i mezzi.
Ora si dice che, siti come Google, Amazon e Yandex (motore di ricerca russo) stanno sganciando più del 30% dei loro introiti ad Adblock.
Ora che si deve fare?
Molti business online si rifiutano di restare in silenzio. Alcuni, come PageFair, non hanno resistito e hanno creato uno strumento per calcolare per i publisher i costi e le percentuali di introiti persi a causa dei blocchi pubblicitari.
Intanto, Adblock continua a bloccare cookie, tasti di condivisione nei social media, pulsanti call to action e altri elementi che vengono utilizzate per conoscere i propri clienti ed incrementare conversioni.
Per le call to action, l’unico modo per sapere se sono state bloccate è quello di installare Adblock sul tuo browser e testare le tue pagine sia quando è attivo che quando non lo è.
Inutile da dire, c’è un equilibrio precario fra il voler avere informazioni importanti sui clienti per procurarsi conversioni e il tenere la privacy dell’utente sicura.
Adblock sta lentamente cercando di conquistarsi il trono, assecondando l’utente mentre pratica “estorsioni”. Allo stesso tempo, gli esperti di conversioni e i publisher professionisti si trovano nel mezzo: cercano di incrementare conversioni e quant’altro attraverso pubblicità a pagamento e i social media, il tutto cercando di non essere invasivi.
Cosa pensi tu di tutto questo?
Vogliamo conoscere il tuo punto di vista. Cosa pensi a proposito delle pratiche utilizzate da Adblock? Credi che gli Acceptable Ads siano un modo per controllare che tutti lavorino lealmente? O si tratta solo di una società che da un lato blocca le pubblicità e dall’altro riceve denaro per sbloccarle? Come pensi che queste pratiche possano intaccare il tuo social media marketing e il tasso di conversione delle tue campagne? Condividi nei commenti qui sotto la tua opinione!